1950: Quel collegio galleggiante diretto in Brasile - Planetwin365.news

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1950: Quel collegio galleggiante diretto in Brasile

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Credits: UISP - Emilia Romagna

Raccontare la storia del gol di Carapellese, arrivato al settimo minuto di quel match contro la Svezia ai mondiali del 1950 in Brasile, significa raccontare una delle storie più tragicomiche della storia del calcio italiano. Quella del collegio galleggiante.

Foto in bianco e nero raffigurante la squadra Azzurra in partenza per i mondiali di calcio in Brasile del 1950

Il 25 giugno del 1950 è una domenica, il giorno votato al pallone per eccellenza. L’Estadio do Pacaembu di San Paolo del Brasile era affollato di tifosi, arrivati per assistere alla prima partita del terzo girone, quello in cui gli azzurri erano stati sorteggiati assieme a Svezia, Paraguay e India. La prima rete del match arriva puntuale al minuto numero 7 segnata da Riccardo Carapellese, un gol che porta in sé la gioia e le fatiche di un viaggio lunghissimo ed assurdamente legato alla tragedia di Superga del 1949, che costò la vita al leggendario Grande Torino.

Dopo l’orribile incidente, infatti, moltissimi giocatori della Nazionale erano così terrorizzati dall’idea di volare da far propendere la maggioranza della squadra per un viaggio in nave, il quale sarà generosamente offerto dagli Agnelli. La famiglia piemontese offrì alla squadra una motonave, la Sises, per raggiungere il Brasile in sicurezza e comodità. Accantonata definitivamente l’ipotesi di un viaggio in aereo che sarebbe durato complessivamente circa 36 ore, l’imbarcazione salpò il 4 giugno per ben 16 giorni di traversata oceanica: due settimane che si rivelarono più difficili del preventivato per l’intera squadra.

Oltre ad aver scongiurato ulteriori tragedie, il viaggio via mare avrebbe avuto anche delle ragioni salutistiche. La salpata avrebbe infatti aiutato la squadra a rifocillarsi, rinvigorirsi e depurarsi dalle scorie del campionato appena concluso. La realtà fu ben diversa, la verità è che tutti – Boniperti escluso – soffrirono di mal di mare, rendendo così impossibile l’allenamento fisico in preparazione al torneo. Se già era difficile preparare la rosa dei giocatori in queste condizioni, a peggiorare il tutto ci si misero anche i problemi legati al ridotto spazio che offre una motonave. In pochissimo tempo tutta la scorta dei palloni disponibili finì interamente (e prevedibilmente) in acqua, e quando il team si fermò per una sosta a Las Palmas in Spagna per tentare un allenamento a terra, la situazione fu disastrosa con la rosa totalmente debilitata e fuori forma.

In un’intervista del 2014 lo storico centrocampista azzurro Egisto Pandolfini definì l’esperienza in Brasile come «una gita in nave», una definizione che dice molto del clima generale durante quel mondiale del 1950. Tra allenamenti impossibili, partite a carte e visite più o meno lecite da parte degli altri civili a bordo – perché no, la Sises non era affatto riservata agli Azzurri – quel campionato passò alla storia più per le assurdità ad esso legate che non per la performance sportiva. Il mondiale brasiliano si concluderà alla fase dei gironi e dopo solo due partite l’Italia sarà fuori. A niente servirà quell’entusiasta rete di Carapellese contro la Svezia. Gli Azzurri tornano a casa dopo il fiasco contro il Paraguay, arrivato dopo solo due giorni dalla prima sconfitta contro gli scandinavi.

Un mondiale decisamente breve ma intenso per la selezione del 1950 che, traumatizzata dalla traversata oceanica, alla fine deciderà di tornare a casa in aereo nonostante i timori iniziali. Tutti tranne uno: Benito Lorenzi. Lorenzi scelse infatti nuovamente di tornare in nave ma, ironia della sorte, scelse la nave sbagliata salendo su un bastimento che in realtà trasportava merci in Francia. Il centravanti tornerà in patria dopo un lungo mese in mare, giusto in tempo per riprendere subito con la preparazione fisica estiva.

Dalla storia legata a quel gol di Carapellese nasce un aneddoto paradossale per la storia della FIGC, che racconta anche di come siano cambiati i tempi per il calcio giocato e per la figura del calciatore in quanto atleta. Ma oltre a questo potrebbe anche essere un monito, una storia che ci ricordi la fondamentale importanza del coraggio, non solo quello che potrebbe farci salire o meno un aereo, ma anche di quel coraggio che, dopo un viaggio lungo e sfibrante, ti porta a segnare un gol a soli 7 minuti dal fischio di inizio di una partita.